Il quarto numero

Squilla il telefono sul mio tavolo. Una signora mi chiede se può venire da un comune non troppo distante per comprare il bue e l’asinello, e le luci colorate dell’albero di Natale. Ascolto rispettoso la signora che parla, ed è come rispondere da incoscienti alle domande del prof senza neanche avere aperto il libro, perchè “tanto lo sai (col cazzo!) che non t’interroga”. Possiamo venderli o no il bue e l’asinello? Chi stabilisce il loro grado di necessità per la signora in questione?

Finirà questo tempo. E saremo di nuovo tutti in strada. A mischiare i fiati e respirarci addosso. E quando ci ammaleremo, alla fine, non sarà nulla che non potrà esser curato con due pastiglie di Tachipirina 500. Mi chiedo ‘cosa fare’ intanto, di queste ore scarne, e di questi giorni monchi trascorsi al lavoro. Di un lavoro neppure a metà. Mi chiedo poi ‘come fare’, a parte saltare passaggi da sempre necessari, tirar dritto alla riga finale del compito assegnatomi, e abusare oltre il lecito di una riflessione ridotta a poco più di un calcolo binario. Navigo a vista come il timoniere del Titanic. Le istruzioni ricevute diventano muffa prima ancora di averle elaborate anche solo un minimo. Mi sforzo di portare a casa la giornata senza lasciare indietro nulla. Nel frattempo sto imparando il mestiere nuovo di centralinista, in attesa di diventare presto van driver. Va bene così. Va bene tutto per combattere la speranza che si sgonfia e il nemico mostro di Amazon ad ogni ora più cattivo. Sono fortunato penso, non ho troppe questioni in sospeso con la banca e la rata della macchina mi pare ancora sostenibile. Ho messo da parte qualche barattolo di nutella per il pantagruele in cui si trasforma mia figlia all’ora di merenda. Ho messo da parte nutella in barattolo e qualche fetta biscottata Buitoni. In cuor mio, lo ammetto, sto già facendo un pensiero ai Tre mulini. Ho appena detto che rispondo ai clienti che chiedono informazioni al telefono. Non sapevo quanta disperazione ci fosse in giro, alimentata da notizie, dati, percentuali, opinioni di esperti che mi paiono voler ridurre la scienza ad una volgare rincorsa del dire, ad un rilancio continuo senza posa e controllo, costi quel costi. La scienza non è certezza in nessun caso perdio, non lo è mai stata, ma neppure sgretolamento precoce e costante di ogni fondato sapere pregresso. Peggio ancora, la scienza non può incarnare mai produzione eccessiva di sapienza quando ancora quella sapienza non si è data. Mi chiedo ‘cosa fare’, al di là del mio ritorno di fiamma per Max Stirner. Riprendo a guardare il terminale e provo a chiudere un ordine di stufe a combustione elettronica mentre ripenso al bue e l’asinello che in fin dei conti altro non sono che la trasfigurazione sacra dell’eterno, identico bisogno a cui rispondono adesso le mie stufe. Suona ancora il telefono: “Mi chiamo Gino, come il corridore…”, dice, “…ho 92 anni, una tosse forte e due linee di febbre. Ough…”, butta fuori un mostro dai polmoni, fa un respiro lungo e continua, “…vorrei sapere se posso uscire per una passeggiata intorno alla mia casa e prendere aria…”

“Mi scusi, qui è il faidate, forse ha sbagliato numero…”

“Non ho sbagliato numero perlamiseria, lo so che è il faidate, esattamente il quarto della mia rubrica. Vi chiamerò tutti quanti finché non troverò qualcuno che mi stia ad ascoltare. A che serve sennò il telefono, soprattutto di questi tempi? A che serve? Me lo dica lei.”

Non potrei mai fermare il suo sfogo.

“Dopo Aniciuti, il dottore di famiglia, che mi ha detto che non può rispondermi adesso, ho chiamato Berto, mio figlio: fanculo lui e la sua segreteria. Poi Caterina…”

Colgo un lamento strozzato.

“Caterina è mia moglie. Mi sono ricordato al secondo tuuuu che non può rispondermi lei. Non più.”

Il quarto numero è il mio numero. Lettera F, di Firenze, faidate, fanculo al figlio Berto. Il primo della sua rubrica pronto ad ascoltarlo. Il vecchio è ancora lì, in attesa, non arretra, pretende una risposta, da me, ora.

Finirà questo tempo, ed io sarò ancora qua al telefono con Gino ad immaginare, sciocco, qualunque argomento buono per tutti quelli che, come lui, mi faranno domande improbabili solo perché non avranno voluto arrendersi di fronte a un numero che non risponde, ad una voce che non si fa sentire, alla loro angoscia che diventa ultima e irrimediabile urgenza.

6 pensieri riguardo “Il quarto numero

  1. Caro Albe…Il telefono che a volte mi sembra uno strumento di tortura in questi giorni bui è diventato, per alcuni, l’unico strumento per stare in contatto con il mondo. Anche a me in questi giorni capita di rispondere a telefonate quantomeno assurde….e comunque cerco di essere più disponibile di sempre. Vorrei essere brava come te a scrivere di questo….ma visto che non ne sono capace almeno mi posso dilettare a leggerti. Ciao ciao

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