L’eretico Bruno

Venne ucciso una mattina di 420 anni fa per mano della Chiesa Santissima Apostolica, in Campo dei Fiori a Roma. Giordano Bruno fu arso vivo il 17 febbraio dell’anno tondo 1600. Gli inflisse la condanna il cardinale Bellarmino, lo stesso che risparmiò Galileo dopo l’abiura. Bruno invece, superate alcune personali e controverse incertezze, tenne fede a se stesso fino all’ultimo e fino all’ultimo respinse quei prelati che lo imploravano di ritrattare sconfessando le sue idee per aver salva la vita. Col cazzo, rispose lui, bruciatemi, davanti a Dio, alla Storia e al vostro animo ignobile.
Questo frate eretico domenicano ce lo offrono nei licei impacchettato all’interno di un trittico (Bruno-Telesio-Campanella) di cui si è soliti sbarazzarsi in fretta per far posto ai campioni indiscussi della modernità: Cartesio, Hobbes e Spinoza per primi. Bruno, Telesio e Campanella sono un po’ come Conti, Antognoni e Rossi contro Zico, Socrates ed Eder. E così come in Spagna la nostra nazionale di nani cacciò via i giganti del calcio carioca, allo stesso modo, tra il silenzio mortifero degli interminabili secoli a venire, fece Giordano Bruno nei confronti del mondo millenario costruito da Aristotele e Tolomeo. Negli ultimi tempi è stato un breve saggio di Aldo Masullo ad illuminare la figura del nolano con la potenza di un occhio di bue che si accende in un teatro immerso nel suo scuro: Giordano Bruno Maestro di Anarchia (Edizioni Saletta dell’Uva, 2016), già dal titolo, dico io, si presenta forgiato di un irrinunciabile invito alla sua lettura. Scrive Masullo: “Con Bruno non c’ė più l’aristotelico mondo convesso del primo mobile, e dunque centro dell’universo. Né più l’uomo, l’animale pensante che abita il mondo, è al centro della realtà naturale. La fine del geocentrismo comporta la fine dell’antropocentrismo.” E seppur nella concezione bruniana “l’uomo resta l’unico punto di vista, l’origine stessa della rappresentabilità del mondo”, ecco che “i centri” di quello stesso mondo esplodono, sparpagliandosi ovunque in un tripudio di legittima, sacrosanta relatività dei punti di vista.
E tale esplosione, insiste Masullo, ci inchioda al muro, obbligandoci tutti quanti a una via di relazione “effettiva o possibile”.
“È chiaro allora che la democrazia è la struttura essenziale del modo d’essere punto di vista. Un punto di vista privilegiato, nel suo ‘splendido isolamento’, è impensabile. Che il potere imponga il suo punto di vista è arroganza pratica, mai fondata veridicità.” C’insegna dunque Bruno, primo tra tanti altri, che qualunque modello anche solo vagamente mascherato di fascio-autoritarismo è una merda epistemologica ancor prima che civile e politica. E il professor Masullo bene fa a rimarcare, in questo rinnovato scorcio di secolo buio, che “in Bruno l’idea dell’illimitabilità del dialogo è esplicita. L’infinità dei mondi non è tanto quella fisicamente intesa, quanto l’infinità degli universi mentali, ovvero delle culture.”

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