
“Non ricordavo del vostro viaggio in Inghilterra. In questo momento non ricordo nemmeno del tuo malanno ai piedi. Che cosa è stato, perché non me ne avete mai parlato? Né tu, né mamma intendo. Quante altre cose mi sono persa nel frattempo? Dov’ero?”
Rispondere alle sue domande significava scrivere un trattato sulle occasioni che ho mancato, sul mio stare lontano, e le mie alzate di voce prima di aver capito, sul suo stare lontano per legittima ritorsione, o per sacrosanta difesa. Non basta volersi bene, bisogna fare pratica ed è faticoso alle volte. Sono stato avaro anche in questo. “Ti sto raccontando favole, cara, non dimenticarlo.” Soffiò forte contro il soffitto perché il mio tagliare corto non la convinse neanche un po’: “Vorrei stendermi, se non ti spiace, sento che la debolezza mi sta di nuovo prendendo dal basso e pare allargarsi a macchia d’olio sul resto del corpo.” Girai la manovella e lei tornò in posizione supina. Erano le due e dieci e non aveva voglia di arrendersi. Mi disse, guardando fuori dalla finestra, che aveva un grande universo davanti a sé e che non ci avrebbe rinunciato facilmente. Io non la incoraggiai, ma sapevo per certo che lei non avrebbe indietreggiato di un solo passo. “Credi sul serio che Rubber Soul, o come diavolo si chiama, sia stato il loro album migliore?” chiese.
“No, non so dirti quale sia stato l’album migliore. Ogni volta però che si parla del loro disco più bello, Rubber Soul non compare mai nella lista e ritengo sia un peccato. Tutto qui.”
“Anch’io ho una confessione da farti. A un certo punto della mia vita, un po’ di anni dopo che la finii col canto per intenderci, avrei voluto imparare a suonare il violino, poi ho rinunciato a quella idea, non so dirti perché.”
“Non devi fartene un cruccio. Rinunciamo ogni giorno a qualcosa di importante. Pensa invece a tutto quello che sei riuscita a mettere insieme fino a ora, e, credimi fortemente, sei appena agli inizi…”
“Tu cerchi di distrarmi ma io so che hai ancora un sacco di cose da parte per me. E sbrigati che tra poco è mattino.”
“Neanche io immaginavo di questa tua passione fugace per il violino, sai. Mi hai fatto venire in mente una cosa che una volta lessi in appendice a un grosso volume di racconti che parlava della Rivoluzione d’ottobre. Se non ricordo male, comprai quel libro ai tempi del centenario…”
Si spostò dalla mia parte e assentì, e io mi resi conto di non aver più nessuna voglia di trattenermi, perché le sciocche favole che raccontavo rimestando nei ricordi e nelle mie viscere ignote, senza rinunciare a certi passaggi dettati da un impalpabile desiderio d’improvvisazione, ripulivano l’aria dalla polvere e dall’odore di vecchio e parevano portarsi via detriti che si erano depositati negli anni sulla sponda in comune della mia e della sua vita.
segue: Cena al caffè carioca