Il passeggero di Cormac McCarthy

Western è il ritorno alla frontiera. Il non luogo da cui ha preso corpo l’America. McCarthy ne ha fatto schizzi insuperati. Western ha un nome che è un marchio a fuoco. Lui stesso è frontiera. Un uomo che affronta la vita di scarto e tiene dietro a un’idea improbabile d’amore che quella vita gli ha tolto solo perché improbabile. Per questo non è peggiore di noi. Certo non peggiore di me. McCarthy non intende ingannare nessuno e lo fa rivelandoci una verità religiosa. Non esistono uomini peggiori, semmai uomini che rimangono abbarbicati alla coda di un sentimento folle, malato forse, e che trovano a notte fonda una spiaggia perduta dove addormentarsi. Uomini pagani sfiorati dalla grazia di Dio senza che neppure Dio abbia avuto modo di accorgersi di loro. Western sogna un’ultima volta Sheddan, l’amico morto qualche tempo prima, seduto su una poltrona di un teatro vuoto. I loro sono da sempre incontri all’arma bianca. Uno sfodero di lame a tagliare pensieri obliqui che non ce la fanno mai a ricomporsi. Sheddan nel sogno ci svela da ultimo la linea d’orizzonte dove va a posarsi l’animo umano: “È sicuramente vero che non esiste un terreno comune della gioia come esiste del dolore. Niente ti assicura che la felicità di un altro somigli alla tua. Ma sulla natura collettiva della sofferenza non possono esserci dubbi. Se non siamo alla ricerca dell’essenza, ‘sere, allora cosa cerchiamo? E ti do atto che non possiamo scoprire una cosa simile senza apporvi il nostro sigillo. Ti concedo perfino di aver pescato le carte peggiori. Però ascoltami, messere. Se la cosa di una sostanza resta da dimostrare, difficilmente la forma ha più autorevolezza. Ogni realtà è perdita e ogni perdita è definitiva. Altre non ce n’è. E la realtà che indaghiamo deve prima di tutto contenerci. E cosa siamo noi? Dieci percento biologia e novanta percento mormorio notturno.”

È una scrittura, quella di McCarthy, fatta di vuoti e risposte appena accennate che rivelano tutto, e di respiri portati all’estremo. Luoghi chiusi e marcescenti che si affacciano su mari battuti da lampi che annunciano tempesta e un ritorno al deserto. Non c’è mistero e neppure attesa nella vicenda di Western, solo un velato dispiegamento del tempo come un vano e ripetuto tentativo di emergere dall’oscurità liberandosi del tempo trascorso. Con la sola identica ossessione di una vita: tornare da lei e alla sua bellezza, una volta chiusi gli occhi ad invadere le tenebre in un accenno di gioco senza fine.

Qualcuno lo annovera tra i più grandi degli ultimi due secoli. Non sono all’altezza di giudizi simili. Forse non sono all’altezza di prendermi tutto ciò che Cormac McCarthy ci racconta. Altro non so dire.

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