
Nel mese del Natale che vide salire di nuovo il reflusso acido della pandemia da corona virus, noi toscivághi uscimmo di casa. Ci allontanammo dai luoghi che frequentiamo di solito, sconfinando oltre la riva del fiume che dal Falterona scende fino alla spiaggia aspra e incontaminata che voi pis[um]ani chiamate Gombo e che d’estate usurpate coi vostri gommoni agili, come foste pirati o contrabbandieri di mare. Il grande fiume porta ogni santo giorno acqua in quantità alla sua foce, e lo fa disegnando sulla cartina del territorio tuscio una V corsiva e sbafata. Abitiamo la striscia sotterranea della sua riva sinistra e proprio come voi siamo figli delle invasioni barbariche. Ciò che gli unni e i visigoti strapparono alla superficie i nostri avi trasformarono in radici sode e fertili. La tribù dei toscivághi della grande famiglia nibelunga non fa che sopravvivere in uno zigo-zago continuo, estenuante, tra le nefandezze che continuate a nascondere sotto il tappeto, come foste predoni o contrabbandieri di terra. Ma il tempo è scaduto, e attendiamo solo il fischio finale. Tutti insieme, ognuno al suo piano, senza uno straccio di passione e speranza. Decidemmo di uscire dunque nei giorni del Natale dell’anno 2020 e ce andammo in giro laddove (sempre voi umani) ve ne stavate al largo per via delle restrizioni imposte per legge, più che per ordine delle vostre coscienze. Ma tra i nibelunghi la vostra legge non vale. Alt, non tutta la vostra legge. Abbiamo un nostro modo d‘intendere la vita. Lo abbiamo sempre avuto. Poche norme ci governano, eppure non siamo (non lo siamo mai stati) esseri docili. Conosciamo l’odio, il disprezzo e in mezzo a noi striscia la serpe, il ladro, perfino l’assassino. Cambiamo le nostre regole con referendum di popolo quando un numero importante si solleva e provoca un’onda. Cambiamo le nostre regole quando è tempo di cambiarle. Lo abbiamo fatto l’ultima volta un bel po’ di anni fa, sbirciando nelle vostre carte, come non ci era mai capitato prima. Dai tempi lontani del nostro arrivo. Abbiamo un’economia evoluta e beni sufficienti per tutti. Quanti siamo a vivere sotto la riva sinistra del fiume? Me lo chiese un tipo alto e secco che dicono mi somigliasse nell’aspetto e che incontrai in quella uscita che facemmo al faidate per comprare cose che non avevamo mai comperato in vita nostra. Milioni, risposi. Centinaia di milioni. Quando le comunità si moltiplicano mutandosi – provai a spiegare al tipo alto e secco -, e con loro si frantumano i bisogni da soddisfare, ecco che nasce anche l’urgenza di metter mano alle tavole; scovare altri modi per ricavare un disegno pratico e solenne al tempo stesso che tenga legate a doppio filo idee ancora buone di libertà e uguaglianza. I soli beni supremi. Al pari del nostro pane e della nostra salute. Sta scritto nella madre delle vostre leggi. Ad esser precisi, sta scritto nella sola parte che conti per noi. Le regole che rispettiamo, le uniche che hanno valore per i toscivághi di ogni luogo, sono impresse lì. Dovreste insegnare ai vostri figli la grammatica e la sintassi partendo dal senso compiuto dei Principi Fondamentali; dovreste infine educarli al pensiero, dunque alla ribellione autentica, per il tramite dei Diritti e dei Doveri, già nella loro età perversa di adolescenti. Noi lo facciamo da quando abbiamo sbirciato dentro la Carta che i padri dei vostri padri scrissero all’indomani del lungo buio che li attanagliò nello scorso secolo. Al punto da prendercene un pezzo intero di quella carta, e farlo nostro. Abbiamo dovuto approntare qualche adattamento qua e là, certo; eliminare ad esempio il 7 e il 29 del tutto superflui; oppure emendare il 12 perché sono altri i nostri colori. Soprattutto teniamo botta sulll’1, il 3 e il 4 che non vorremmo, a differenza di voi, gettare in fondo al cesso senza averci mai neanche provato.
Ps: in alto la foto clandestina col mio umano somigliante nel giorno della nostra visita al faidate.
Dal Diario del raccontatore nibelungo Gnorri