
Se sapessi scriver canzoni ne dedicherei una a Walter Bonatti. Il più grande di tutti. Se davvero sapessi scriverne di belle, lo farei adesso e canterei la mia canzone come neanche De Gregori cantò per Bufalo Bill. Fu un uomo al limite, che non conobbe sconfitta perché perdere significava morire, e Bonatti ebbe in dono risorse che lo costrinsero a tenere a bada tutto e tutti, perfino la morte. Lo sapeva bene lui. E lo seppero le sue montagne. O meglio, gli spunzoni in granito che di quelle montagne si levano ancora oggi concavi al cielo, inattaccabili per chiunque. La battaglia madre che più di ogni altra lo indusse a ostili prove di resistenza e tenacia fu quella che combatté per una vita intera contro i bugiardi del K2. Gli servì forgiarsi di rinnovata scorza e tempra di maniaco, per fare a pezzi, una ad una, le fandonie di Ardito Desio e dei suoi compari. Un merdoso piantagrane fu Bonatti, perché difese la sua onorabilità fino allo stremo, senza indietreggiare di fronte a nulla; non volle arrendersi alla squalifica ignobile dell’altro, che occorre prima di tutto a salvare se stessi; e non si arrese alla mistificazione; alla storia che non diventa Storia; alla falsità di cui ha sempre bisogno il potere; alla pochezza d’animo di chi si sceglie un posto comodo al servizio di colui che è seduto al comando; all’arroganza becera e al rigurgito fascista che in quella avventura cercò di inghiottirsi tutta la verità. Bonatti portò in quota l’ossigeno necessario all’ultimo assalto di Compagnoni e Lacedelli bivaccando una notte intera nel freddo, sull’orlo del precipizio ad ottomila e passa metri, salvò forse la vita al compagno di scalata Mahdi che dall’orrido di quella notte uscì fuori pazzo; poi tornò indietro, al mattino, e attese che i due piantassero piccozza e bandiera sulla vetta. Continuò negli anni a scalare in solitario le pareti estreme del mondo e della menzogna. Era un uomo davvero al limite. E il limite di un uomo ce lo ha spiegato lui stesso di cosa è fatto. Non è piantare chiodi su una roccia liscia e verticale. Neppure penzolare nel vuoto di un crepaccio cercando a tentoni una via di risalita. Il limite di un uomo è già compreso nell’idea che sta a monte di tutto questo, e prende forma giorno dopo giorno al chiuso delle nostre case e della nostra testa. È la disperazione che avremo saputo accantonare, e la forza che saremo chiamati a spenderci, sopra il germe di quella stessa idea. Il limite è la ricerca indomita della nostra vetta. La vita di Bonatti, per questo, è la più potente delle allegorie.
Da par mio, se imparassi un giorno a scriver canzoni, vorrei cantare di lui e delle sue conquiste. Metter su una storia meravigliosa insomma; non per il gusto di raccontare e basta; per inventarmi piuttosto un pezzo di vita nuova (rif. Philip Roth) che mi avvicini anche solo un poco alla mia prossima cima impervia, ancora tutta da immaginare.