
Mi chiedo cosa scrivere in un momento come questo. Quali parole usare per sfuggire al già detto, ai commiati facili e un po’ ruffiani. Ai saluti da cartolina. Ai ringraziamenti che ringraziamenti non sono. Come faccio poi a tener fuori chi non merita menzione e raccontare invece con poche righe di quanti nomi porto nel cuore? Ho lavorato in Obi per 19 anni, una cifra che impressiona. Le stagioni che occorrono a un neonato per diventare uomo. Il tempo che consuma una generazione intera nel mentre un’altra ne alleva. Un capitolo di vita lungo, lunghissimo. Tengo dentro una storia che varrebbe la pena rivelare dall’inizio alla fine. Al modo di Karl Ove Knausgård. Qualcuno si chiederà chi cazzo è Karl Ove Knausgård. Un tipo norvegese che ha scritto una roba bellissima dal titolo inquietante. “La mia battaglia” è il racconto della sua vita alto 3600 pagine. Ciò che lo rende unico rispetto a milioni di altre autobiografie sparse per gli universi che ci circondano è la scrittura che pratica il suo autore e l’obbligo a cui si è piegato quello stesso scrivere: la verità vera per il tramite del ricordo puntiglioso. La verità totale che penetra nei particolari più minuti ed anche (apparentemente) insignificanti di un’intera esistenza. La verità che non risparmia luoghi persone cognomi. La verità scandalosa di una vita maledettamente normale, vissuta al di qua di ogni grande avventura. Ecco, se non mi avesse preceduto Knausgård ed in più fossi dotato anche solo di un frammento del suo talento notevole avrei potuto pensarci io a tirar su un pippone oblungo dei miei anni in Obi. Lo giuro, ve lo risparmio. Concedetemi però un episodio, uno soltanto, tra tantissimi altri che mi saltano alla mente, giusto per ribadire e tenere fermo il pensiero di quanti uomini e quante donne straordinarie hanno popolato il mio mondo da mattina a sera, ogni giorno, sabato e domenica rigorosamente inclusi, in questi ultimi 19 anni di vita e lavoro.
Pietro è un addetto alle vendite part time nel reparto elettroutensili. Sa di trapani e martelli tassellatori, un professionista attento e preparato, ha un modo timido di concedersi alle persone, lo fa sottovoce, e con un sorriso che alle volte si allarga fino all’inverosimile. Pietro è giovane, riservato, disponibile ad ogni occasione. L’uomo, anche lui giovane, crolla a terra nella corsia della ferramenta e comincia una danza sdraiata, folle, che faccio fatica a comprendere per non averla mai vista prima. La gente attorno è irriverente fino alla derisione. Mi avvicino a passo svelto. Pietro fa un salto, due, è lì prima di me. Usa un tono di voce che continua ad essere il suo. Senza stonature intima ai quattro cinque curiosi di allontanarsi, crea spazio usando il corpo, getta via con le mani gli oggetti a terra che ingombrano il corridoio. La gente intanto si accalca e l’uomo continua la sua danza. Fa scudo Pietro allora, alza di un tono la voce, mantenendo intatto il garbo di cui evidentemente è un portatore sano. I curiosi si allargano fino a scomparire, l’uomo distende le gambe e calma il suo moto incontrollato. Pietro fa cenno che è tutto ok, non serve avvisare il 118. Sta per laurearsi. Sarà medico tra pochi mesi il mio collega gentile. Nelle pause di studio mette via qualche soldo sistemando compressori e bidoni aspiratutto sugli scaffali alti o raccontando alla gente di trapani e martelli tassellatori. Poi, se capita, tra un cliente e il successivo si porta avanti col futuro e salva la vita a chi ne ha bisogno. Senza perdere il sorriso in faccia e i suoi modi da uomo cordiale.
Il negozio Obi è il paese delle meraviglie. Puoi trovarti di fronte a Pietro, al Bianconiglio oppure puoi incrociare il Cappellaio Matto che prova a convincerti su uno smalto all’acqua piuttosto che a solvente. Il negozio Obi da oggi non è più il mio negozio. Non è una questione da poco. Non sono avvezzo allo scompiglio, anche se mi piace. Farò di tutto per meritarmi il bene che mi ha circondato in questi lunghi anni.