Because

Che è successo? Cosa vi porta qui? Da dove arrivate e perché dovrei accogliervi? Il carabiniere che ci starà davanti scatterà una, due, tre foto e reciterà il suo questionario. Non risponderemo perché rispondere sarebbe come riferire un trattato sull’uomo che da nomade si fa stanziale. E poi torna ancora nomade spostandosi su un’altra faccia di terra lontano dal torrido che sa di pestilenza e carestia. In una vita che abbiamo vissuto altrove siamo stati tutti quanti, uno ad uno, profughi e disperati. Ed a fatica abbiamo trovato una mano ad accoglierci su una riva qualunque da questa parte di mare. Abbiamo tutti attraversato acque profonde, stipati su un imbarcadero tenuto assieme da migliaia di bullette mangiate dal sale per via delle andate e dei ritorni su quello stesso mare. Abbiamo anche chinato la testa fingendo uno sguardo opaco dinnanzi ad una serpe di traghettatore che si chiamava Caronte, solo per tenere a vista i nostri figli e strapparli a un giuramento di fame. Siamo tutti rinati nel mezzo di una distesa d’acqua che promette ogni volta sereno e dispensa tempesta. Chi non ho visto più è affondato nel viaggio. Chi tra noi è morto è perché qualcuno ha giocato a dadi sulle nostre vite e come nell’Oca ha allontanato beffardo la riva. Quando i maledetti di oggi avranno terminato la loro invasione toccherà di nuovo a noi. Perché di certo saremo i maledetti di domani. Chiamati ad una nuova conta. Ad un nuovo appello. Convocati uno ad uno all’attraversamento degli oceani ed al recinto che di là ci attende. Ci terremo per mano senza ingozzarci d’illusioni. Staremo accorti. E ci faremo di nuovo i muscoli. Toccherà pure remare su di un patino che verrà a prenderci perché incagliati in rada. E si tingerà di rosso quel patino. Ci sembrerà lo stesso che sul bagnasciuga sorvegliava il culo grasso ai bagnanti degli stabilimenti Nettuno. Con fatica ci porterà al lager, via dalla risacca. Indosseremo, che so, un cappello o una maglietta che ci sia di riconoscimento e magari servirà (con le scarpe, beninteso, perché le scarpe sono e saranno d’obbligo) a pagarci l’acconto sul riscatto che dovremo all’infamia del nostro carceriere. Toccheremo riva poi. E sabbia sudicia dei resti di altri prima di noi. Il carabiniere vestito del solito nero punterà il dito alla rete che dovrà contenerci. Pescheremo in fondo a una busta uno o due biscotti del mulino a ricordarci la famiglia che eravamo, a toglierci fame quel tanto che basta a smorzare la smania di fuga per le campagne, lungo strade che attraversano oblique i continenti e scompaginano inseguitori e fuggiaschi. Saremo di nuovo fuggiaschi di professione. E c’inventeremo una vita nuova. A nord. Dov’è il freddo, e il sole sta in bilico sulla cresta delle montagne e concede un uso gratuito di luce alle savane di neve e ghiaccio. Nient’altro che luce. Dove l’orso è amico e la poca gente sta a distanza senza sacrificio di bene e bontà. Mentre il fiume passerà a bagnarci d’estate. Una voce a chiamarci da vecchi. Perché intanto invecchieremo e rammenteremo la fame. Gli stessi di una vita fa. Ci allieterà un giro a scopone e nessuno di noi che saprà più sparigliare solo per il gusto di costringerci a un’ultima mano senza uno straccio di carta buona a vincere. Avremo tutti il nostro regio bello e un modo dolce di avvicinare la morte. Sempre più vecchi punteremo ancora a nord fino a scavallare la circonferenza terrestre e ricominciare la discesa del pianeta e del tempo vissuto. Ci porteremo appresso un libro di Mark Twain e il nostro abbecedario semmai riconquistassimo con gagliardia e dolore il tempo della libertà. Suonerà Because intanto, è certo, arrivati che saremo al lato B di Abbey Road.

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