Libertà mancanti

Furono giorni terribili. Lo ricordo bene. Lo ricordiamo bene tutti, anche se noi toscivághi, gnomi della tribù nibelunga stipata da sempre sotto la linea sinistra del vostro fiume, dal Falterona alla sua bocca, restammo immuni al virus. Voi umani morivate invece, a centinaia, ogni giorno, negli ospedali e in quelle case di vecchi che si trasformarono d’improvviso in catacombe. E i malati non si contarono più, confinati per settimane dentro le mura di casa. I portatori sani ed ignari furono costretti ad abbandonare bar e uffici, ristoranti e sale bingo. Le code alle casse no. Quelle rimasero intatte, e il corona organizzò il suo party. Gli avventori in fila come bombe senza neanche bisogno d’innesco. Noi toscivághi non abbiamo casse e neanche bombe con o senza innesco, ma riusciamo lo stesso a pagare i nostri debiti e risolvere le nostre liti.

Qualcuno di voi (più di qualcuno) tentò una ribellione, strillando per non riuscire a sopportare la privazione di libertà irrinunciabili, che non era rinuncia a mangiare, fare l’amore, o dare sfogo al pensiero così come nasce e fermenta dentro. Neppure fu in dubbio il distacco forzato da pagine scritte che smorzassero o levigassero quel vostro stesso pensiero, elevandolo semmai a una forma superiore di laboriosa perifrasi e utile complessità; tantomeno si assistette allo smarrimento di emozioni attese dalla forza di un suono o di un’immagine. Le libertà di cui lamentaste il sacrificio o il sopruso furono altre, comunque importanti, lo ammetto, al punto che molti si sentirono mancare il respiro: lo stare assieme prima di tutto; la densità di corpi amici seduti a un tavolo, sui gradoni fuori di una chiesa o ai bordi di un campo sportivo; quel senso di contiguità fisica che pretende il parlarci addosso, o anche solo il versare un altro po’ da bere mentre imprechiamo e agitiamo le mani senza che ci sentiamo per forza luridi malfattori. Uso la prima persona perché anche noi toscivághi beviamo forte, e imprechiamo sputando bacilli e saliva. E ci ritroviamo assieme nei giorni delle feste. È tutto quello che abbiamo in fin dei conti. L’unico racconto a nostra disposizione per conoscere cose nuove e rammentarci delle vecchie. Anche tra noi, sono certo, qualcuno, nelle stesse vostre condizioni, avrebbe dato fuori di testa e rotto anzitempo le righe.

Un’altra libertà mancò al vostro appello comprensibilmente disperato. La più discussa da un po’ di secoli, vezzeggiata o avversata con la stessa foga, in tempi e luoghi diversi. Sto parlando di mercato, e tengo fuori tutto l’armamentario che si porta appresso. Gridaste per la morte apparente della regina di tutte le libertà borghesi venuta meno al cospetto di Dio; vi sgomentaste per il mondo, e sfuggì ai più la necessità postuma del suo salvatore che sarebbe nato in ogni caso di lì a pochi giorni; temeste di perderlo il mondo, proprio nelle settimane del Natale, senza accorgevi che il virus, mentre uccideva davvero uomini e donne di cui non conoscevate nome e volto, colpì soltanto di striscio l’idea vostra di quello stesso mondo che vi relegava in eterno al suo centro indiscusso. Il cartaio – umano quanto voi – sbarrò gli occhi per il terrore di mischiare un mazzo senza più assi e figure, solo numeri sparsi, parimenti necessari, di semi diversi.

Poca gente in giro a impedirci di uscire in quel breve, brevissimo scorcio d’inverno pandemico. Rubammo così le vostre libertà mancanti. Ci aggregammo e ci radunammo fino all’invidia, in mezzo a scaffali ghirlandati, alberi di plastica, e luci a led colorate. Ci ritrovammo in tanti, e stretti, laddove non ci aspettavate da vivi, a ingombrare spazio, invadere corridoi, fare code alle casse senza ritegno, e pagare per una montagna di cose carine e del tutto inutili. Al posto di voi umani, costretti a rintanarvi nelle vostre case (comode) lungo questa linea del fiume che è anche la nostra, e molte altre.

Dal Diario del raccontatore nibelungo Gnorri

2 pensieri riguardo “Libertà mancanti

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