
Siamo dentro che non sono ancora le quattro. Il palco e questo prato largo che gonfia piano esploderanno fra qualche ora, quando il giorno, sfibrato dalla calura e da un sole bastardo che si fa vedere a tratti, ancora non avrà esalato l’ultimo respiro. Allora apparirà il vecchio appoggiato al microfono come ci si appoggia a un bastone. Ci guarderà dall’alto con un sorriso tra il commosso e il faceto trascinandosi dietro il mondo. Lo farà da quella sua voce tirata su da un pozzo torbido e per quelle sue parole nate monche, sceme alle volte, e con un senso che anche lui continua a non trovare, disperato. Lo farà fra qualche ora e salteremo su un’onda gigante di braccia senza pensare a niente, e terrò in serbo aria nei polmoni sul filo di quel dabadan che ogni volta mi toglie il fiato, a chiedermi se davvero Sally, che sono io, che siamo tutti, alla fine riuscirà a salvarsi e trovare, lei sì finalmente, un fottutissimo senso al suo sentire e vagare. Vasco arriverà tra qualche ora ed esploderà tutto. E in mezzo a questo tremendo casino diventerà palpabile perfino l’illusione che ”forse qualcosa s’è salvato, forse davvero non è stato poi tutto sbagliato”.

Superyeah!