La lettera di Ines

Carissimo Jurgen, il paese è morto. Questa vallata è peggio di un deserto. L’afa non c’entra granché, lo sai bene, anche se oggi è veramente insopportabile. Tu conosci da sempre il segreto e hai scelto di rivelarmelo soltanto adesso. Gli unici rimasti sono i pochi vecchi che si riparano dal caldo sotto al bocchettone dell’aria condizionata dentro al bar. Solo che di questi tempi non bevono caffè ricamati con fiori e cuoricini. Birra ghiacciata da mattina a sera e nient’altro. Fumano marijuana e leggono centinaia di pagine fino a quando non vanno a dormire. Adelmo il libraio è uno di quei vecchi che ancora resiste. Prima questo luogo era suo. Lo hai scritto anche tu. Hans no. Non ce l’ha fatta. Se n’è andato per sempre e non potrò fare affidamento su di lui. Ho ritirato le chiavi della casa in cui abitavi con Elena. La dirimpettaia mi aspettava, due occhi spiritati ed in mano una brossura del “Sogno di una notte di mezza estate”. Ho aperto a fatica la porta e sono entrata. Mi sono guardata in giro, la vista dalla finestra di cucina resiste al tempo e alla morte. Scorgo lontano, oltre il vapore d’acqua che si leva dai campi, il mare e un’ellisse tenue di cielo. La copia autenticata della passeggiata di Monet sulla cappa del camino pende a sinistra ed ho provato inutilmente a raddrizzarla. L’odore di chiuso non mi è parso così tremendo anche se ho spalancato i vetri nelle stanze per far circolare l’aria e lasciare entrare un po’ di luce. La sala grande con tutti i vostri libri è pulita anche se disordinata. Non c’è neppure un accenno di polvere là dentro. Solo qualche volume aperto sullo scrittoio ed altri sparsi in giro. La dirimpettaia mi ha detto che nessuno mette piede nella casa dal giorno in cui sei partito. Quanti anni sono trascorsi? Trenta forse, o anche di più. Ho cercato la camera e il suo comodino. Mi sono seduta sul letto ed ho svuotato il cassetto sopra il lenzuolo fresco di lavanderia. Ho fatto l’inventario: oltre al taccuino verde, fogli con appunti scritti a lapis, una cinghia per chitarra, un portamonete vuoto, i Racconti dell’errore di Asor Rosa, due paia di occhiali, un orologio fermo sulle 12.34 e una foto. Siamo insieme, tu, io ed Elena sotto la ruota al Prater di Vienna. Eravamo in gita al nostro primo anno di liceo. Facemmo quello scatto poco prima del tuo battibecco col prof di lettere che terminò in tragicommedia quando gli mollasti un pugno secco sulla spalla. Ho letto due volte il taccuino verde e le altre pagine dove annotasti le informazioni che raccoglievi in giro e che ti parevano in qualche modo utili. Poi ho trovato una busta della spesa nella dispensa accanto al camino, ho infilato tutto dentro e sono venuta qui al bar. Ho chiesto una birra ghiacciata che mi hanno servito con una fetta di torta al limone, uno spinello già bell’e pronto, qualche fiammifero e un libro di Sciascia che parla della scomparsa di Ettore Majorana. La prima domanda la rivolgo ad Adelmo che ho riconosciuto dalle descrizioni che ne hai fatto in quelle pagine scritte a lapis: “Che cosa vi ha davvero salvati dalla catastrofe di quei mesi terribili?” Mi guarda da sotto il bocchettone dell’aria con una faccia scavata di rughe e sospetto: “Chi sei tu che vieni a chiederci una cosa del genere?”
“Mi chiamo Ines, sono una vecchia amica di Jurgen ed Elena…”
“Ah, Elena. Era in gamba la ragazza. È stata lei a scoprire la storia dei libri. Aveva ragione, anche se nessuno, tranne i pochi che sono rimasti in vita, le ha mai creduto. Si è uccisa per questo. Non fu il virus, con lei.” Si asciuga la fronte Adelmo, le parole gli si appiccicano alle labbra prima di essere risucchiate dall’aria umida intorno.
“Lei è Adelmo, il libraio…”
“Come lo sai?”
Indico la busta sul tavolo davanti: “Me lo ha detto Jurgen. Ci sa fare con la penna. Da sempre”
“Non solo con la penna. Lui si salvò dalla catastrofe perché era ostinato. Non ha mai finito di leggere. Solo gli ostinati ce l’hanno fatta qui in paese. Eccoci, siamo quasi tutti in questo bar.” Tira una boccata dal suo spinello e sfoglia un’altra pagina di libro. “Guerra e pace. Ho rimandato troppo a lungo. Non fare il mio stesso errore donna. Leggi i classici prima di diventare vecchia.”
Il sole fuori è bianco, trentasei gradi segna il termometro sul muro. Non ci sono vie d’uscita a questo inferno. Striscio un fiammifero sui jeans e incendio l’erba della mia canna. Comincio anch’io a tirar boccate lente e profonde.
“Ti conviene aprire quelle pagine donna. Non si sa mai.”
“Crede davvero, dopo tutto questo tempo, che siamo ancora a rischio?”
Adelmo si alza dalla sedia e viene verso di me. Si appoggia al tavolo, stende dalla mia parte le pagine che sta leggendo e riprende a parlare.
Mi racconta del mostro che arrivò e si prese tutti quanti. Dei medici che morivano al fianco dei loro pazienti, e delle strade deserte. Mi parla di come le persone cominciarono a stare male tranne lui e i due ragazzi che venivano a trovarlo tutti i pomeriggi in libreria. Poi c’era quel pazzo di Hans. Un patito di fumo e del commissario Maigret. Anche lui non si ammalò di quel virus folle. Era certo che fosse la marijuana a salvarlo. Adelmo no. Lui pensa alla carta, come gli aveva detto Elena. Ne è sempre stato certo. I libri hanno un potere tremendo. I libri succhiavano l’anima al virus purificando quanta più aria possibile nei dintorni.
“I libri hanno salvato quei pochi tra noi che ci hanno creduto”.
Mi invita fuori Adelmo. Ce ne andiamo in giro a guardare quello che è rimasto in piedi di questo paese fantasma. Mi chiede perché abbia atteso così a lungo. Che cosa mi abbia spinto a tornare proprio adesso, io che me n’ero andata dall’altra parte del mondo alla fine degli studi. Mi chiede di te, Jurgen, e sa che non ho risposte a nessuna delle sue questioni. Torniamo indietro da Corso Francia e guardo la scuola che frequentammo insieme. Le finestre sono coperte da assi inchiodate agli stipiti ed il cortile è una giungla di sterpi che sbucano da terra squartando l’asfalto. Non c’è motivo di restare ancora qua. Altro non ho da dirti.
Ti abbraccio amico mio, e attendo di incontrarti da qualunque parte il mondo, questo mondo, vorrà accoglierci.

Tua Ines
Pescagrossa, 5 agosto 2059

Ps: hai sbagliato il conteggio delle volte che ti ho chiesto di Elena, dimenticando di quando lo feci che lei era ancora in vita. Rispondesti al telefono dicendomi che niente e nessuno avrebbe spezzato la vostra storia. Raskolnikov vi avrebbe salvato. E io, dall’altra parte del mondo, pensai che tu stessi impazzendo.

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