L’avvocatu

Freno lungo in derapata di fronte ai gazebo di là dagli stabilimenti Florio che consegnarono al mondo il tonno sottolio almeno un paio di secoli fa. Io devo soltanto riconsegnare il mio 125 scarburato al moto noleggio. Mi sono fatto in solitaria e a manetta la strada che da Cala Stornello arriva al paese. Tunnel e chicane neanche fossi a Montecarlo. Ho toccato i 60 orari, il mio Ciao rosso con sotto la proma, al confronto, era roba da MotoGp. Lei è partita su un taxi coi bagagli per il porto. Alzo gli occhi al cielo, sento lontano il fischio di un aereo che fa zigozago tra le nuvole. Penso a Celentano e alla sua canzone più bella. Le coincidenze a volte fanno tremare i polsi. Vedo un prete sul lungomare opposto e l’incantesimo si spezza. Mi fermo davanti al tendone, scendo dallo scooter e saluto un settantino stravaccato su un sedile di paglia, espradillas color della polvere, camicia aperta all’ombelico, Rayban appesi su un naso dantesco.
Mi guarda storto dal basso della sua seduta: “Da quali parti ri Toscana vèni?”
Se non avesse aperto bocca, lo avrei detto in fuga da Stagno od Ovosodo. Non ho voglia di troppe parole: “Pisa”, rispondo, e vorrei chiuderla lì.
“Chidda nun jè Toscana!”
Gli chiedo se ha parenti a Livorno.
“Ma quali Livorno e Livorno, Firenze a Toscana jè. Tuttu u restu, trazzera!”
Sono stanco. Troppo sole. E la vacanza è finita: “Vabbè, le credo sulla parola…”
Come se avesse staccato una spina da qualche presa nascosta comincia a parlare un italiano senza più ombra di accenti, un Mike Bongiorno al Rischiatutto: “Devi scusarmi, ho studiato a Firenze ed ho lavorato là molti anni, per questo sono un poco partigiano.”
“Posso chiederle che studi ha fatto?”
“Sono avvocato di lunga data. Vengo da Erice.”
Si posa una nuvola sopra le nostre teste a coprire e darci tregua. L’avvocato insiste: “La vostra università è la migliore di tutte comunque…”
“Dice?”
“Certamente, tu hai studiato?”
“Avrei potuto farlo meglio.”
“Studi scientifici o umanistici?”
“Scienze politiche, veda un po’ lei…”
Eccolo che attacca di nuovo la spina: “Minchiaaaa, scienze politiche, chidda jè ‘na facoltà da paraculi, pi cu nun avi vùogghia ri sturiari!”
Sorrido all’avvocato che abbassa gli occhiali per mettermi a fuoco. Il sole strappa le nuvole e torna a battere forte sullo spiazzo sterrato. Preparo l’artiglieria pesante. Tiro fuori dallo zaino la coppola che ho comprato dal cingalese ad un angolo della Piazza del Municipio e me la sistemo bene in testa.
“Levici manu, mancu cu u berretto pari ‘n sicilianu.”
Quest’uomo è il settimo, penso. Il personaggio che per una irrisolta, misteriosa ripicca del maestro non è uscito dalla penna in quel suo capolavoro di lettere e teatro. E allora si vendica l’avvocato, rompendo i coglioni a me e a tutti quelli che transitano da queste parti costretti a improvvisare una commedia nel mezzo di un palcoscenico che si stende a perdita d’occhio, fatto di vento e mulinelli di terra a togliere il respiro.
Spingo sul naso le lenti per vederlo anch’io bene in faccia: “Avvocatu…”
“Parla.”
Idda nun jè strunzu tuttu. Sulu na pocu. E a currìenti alternata. Comu chidda rintra a presa, comu chistu suli fetuso.
Il maestro non avrebbe mai potuto lasciarmi nella sua penna. Né per sbaglio tantomeno per ripicca. Non sono personaggio da lettere o teatro io. Il pensiero di una risposta gravida di fetenzia, vastasa, mi ha preso solo di striscio.
“Avvocatu…”
“Sé…”
“Sabbinirìca…”
“A vossìa dutturi, ‘n saluto a Pisa e un bacione a Firenze…”
“Vattinni va…”
Gli rinnovo un sorriso, pigro però, guardo l’ora e fuggo sperando che il nostro aliscafo non sia ancora in porto. La vedo intanto che mi chiama sbracciandosi dalla banchina più lontana.

Porto di Favignana
Luglio ’23

Lascia un commento